LE PROVE

 AREPO

Le prove che AREPO sia collegato alla parola Harpé sono numerose:

  1. Nel Quadrato rinvenuto nella Biblioteca di Montecassino, risalente al IX/X secolo, il termine AREPO è stato sostituito dalla parola ARPOS più simile ad άρπη.
  2. La radice della parola harpé è “srep“, da cui derivano anche parole come arpione e rapace.
  3. Un Quadrato medievale creato a somiglianza del Sator, ma probabilmente in forma di scongiuro, riporta:
    S   A   T   A   N
    A   D   A   M   A
    T   A   B   A   T
    A   M   A   D   A
    N   A   T   A   S

    Il riferimento all’adamante, mitico metallo di cui era fatta l’harpé, al posto della parola che corrisponde ad AREPO non può essere casuale.

  4. Lo studioso Sebastian Euringer[1], in uno scritto del 1952, ritenne che il termine genwât, che compare in alcuni testi etiopici riferito ad AREPO, sia stato erroneamente tradotto con clavi, i chiodi della croce. Significherebbe invece “strumento appuntito che può trafiggere le membra e ferire”. Sembra davvero la descrizione dell’harpé.
  5. Nel latercolo pompeiano sotto il Quadrato compaiono tre lettere:  I N O
    I sostenitori della cristianità del Quadrato hanno voluto vedere una A al posto della I per collegare il Sator con la simbologia dell’Alfa-Omega, ma anche Heinz Hofmann ha espresso i suoi dubbi su questa lettura. Con un esame più attento si vede chiaramente che la prima lettera è semplicemente una I.Nella mitologia Ino era una nereide, divinità marina, ma soprattutto Ino fu la seconda moglie del re Athamante, Αθάμας in greco. Si tratta di un altro chiaro riferimento all’adamante[2].

[1] S. Euringer, Das SATOR-AREPO-Quadrat:Oder das Aberglaube Arkandisziplin?, Historisches Jahrbuch  LXXI, 1952
[2] Confrontiamo un altro graffito trovato nella Grande Palestra di Pompei: Anima est atsueta (al posto di adsueta) capere sibi debita et donare. Si morem firmas, prospera vota Venus Syntrophus auget. Tratto da: Graffiti Latini, a cura di Luca Canali e Guglielmo Cavallo, Milano, 1991

Il Grande Carro

Ho ipotizzato che AREPO fosse il Grande Carro inizialmente come mera ipotesi, ma poi mi sono accorta che esisteva una conferma lampante, perché in un codice manoscritto della Bibbia, che risale alla metà del 1200 ed è conservato a Parigi, uno studioso bizantino ha inserito un Quadrato Sator e la sua traduzione in greco.

La traduzione dice: Il seminatore tiene l’aratro, le opere, le ruote.

Da quasi tutti gli studiosi questa soluzione è stata ritenuta troppo banale. Una frase agreste insufficiente a spiegare il millenario successo del Quadrato.

Inoltre, AREPO viene tradotto con άροτρον, aratro, apparentemente senza una valida ragione. E questa traduzione è stata accantonata.

Noi, invece, dobbiamo rivalutare questo, davvero prezioso, suggerimento, che ci è stato fornito, non da un semplice scrivano, ma da un colto filologo dei, così detti, Circoli di Bisanzio. Scuole medievali di retorica e filologia.

Questa traduzione conferma che AREPO è il Grande Carro, perché lo traduce con aratro e Aratro è uno degli epiteti più conosciuti del Grande Carro.

Il filologo bizantino operava in un contesto cristiano (1200), e non volendo tradurre AREPO con harpé, parola troppo legata al mito pagano di Saturno, lo traspose con aratro, termine più amato dalla cristianità.

Il vescovo Ireneo di Lione riteneva, infatti, che l’aratro fosse anche il simbolo della Croce.

E la parola aratro gli permetteva ugualmente di ottenere il doppio senso astronomico-agricolo, perché è sia uno strumento agricolo che una figura celeste.

L’apòcope

Spiegare AREPO con la presenza di un’apòcope potrebbe sembrare una forzatura, ma in realtà trova delle giustificazioni piuttosto fondate:

  1. Sul graffito della Grande Palestra di Pompei incontriamo proprio un’apòcope: la prima riga riporta, infatti, sautran val al posto di sautran vale.
  2. Anche la definizione del Quadrato, attestata da Ussani[1] a Montecassino a margine di un foglio su un testo risalente al XVI secolo, presenta un’apòcope. Il crittogramma viene definito: oratio optima contra discensum et alia(s) morbos, preghiera contro la sfortuna e in altri casi contro le malattie. Il troncamento della esse finale evita, anche in questo caso, il cacofonico incontro di due consonanti.
  3. Inoltre apòcope significa, sia in greco che in latino, troncamento, taglio, ma anche castrazione. L’apocopus è l’eunuco. E la storia dell’harpé è strettamente collegata all’immagine dell’evirazione, infatti il poeta Esiodo, nella sua Theogonia, racconta che Gaia, la terra, era continuamente oppressa dal marito Urano, il cielo, che non le lasciava partorire i suoi figli. Creò allora la terribile falce harpé, dai denti di pescecane, e la consegnò al figlio Crono, cioè Saturno, affinché con questa evirasse il padre Urano, separandolo da lei.

Questo mito antichissimo raccontava non solo la leggendaria epopea degli dei olimpici, ma descriveva anche i primordi della Terra, e rappresentava, in modo favolistico, la naturale separazione avvenuta proprio fra il cielo e la terra.

Nel Quadrato una parola tagliata con l’apòcope era come «evirata» e rappresentava questo antico mito, legato a Saturno, e conosciutissimo nell’antichità.


[1] Ussani, Studi Medievali XV, 19437

 

La lettura bustrofedica

La legittimità della lettura bustrofedica accanto a quella più tradizionale, riga per riga, è confermata da un’annotazione trovata su un manoscritto rinvenuto nel Chiostro di Flavigny.

La nota risale circa al X secolo e riporta due crittogrammi in questa forma:

Rotas adrepo tenat opera sator.

Sator adrepo tenat opera rotas.

Se osserviamo bene il Quadrato Rotas è riportato nella forma bustrofedica, mentre il Quadrato Sator secondo la lettura riga per riga.

L’ignoto autore dell’annotazione evidentemente le conosceva entrambe.

 

L’ostrakon  egiziano-copto

 Un Quadrato copto in lettere greche fu rinvenuto accanto ad altri due su un’ostrakon, un frammento di coccio, nell’Alto Egitto. Oggi è conservato al Cairo e la sua datazione è stata fatta risalire al VII secolo.

Se leggiamo bustrofedicamente questo esemplare, creato in lettere greche a somiglianza del Quadrato Sator, possiamo ottenere un significato di senso compiuto.

Σ
Α
Τ
Ω
Ρ
Α
Σ
Ω
Ρ
Η
Τ
Ω
Ν
Η
Ν
Ω
Ρ
Η
Ν
Η
Ρ
Η
Ν
Η
Λ

 

 

 

 

 

 

ΣΑΤΩΡ = il Seminatore.

ΗΡΩΣΑ = da αρόω (arare, fecondare, generare) = le cose che ha generato.

ΤΩΝΗΝ = da τονόω (forma poco usata di τείνω, il teneo latino) = tiene, ha cura.

ΗΝΗΡΩ = da ανήρ, ανδρός = l’uomo.

ΡΗΝΗΛ(λας) = da ρήν ρηνός = le pecorelle.

Il significato potrebbe essere:

Dio si prende cura delle cose che ha generato,

come l’uomo si prende cura delle sue pecorelle.

Possiamo interpretarlo come un tentativo cristiano di fornire una lettura bustrofedica anche per il Quadrato Sator. Il significato non muta e conferma la validità delle traduzioni proposte. Anche in questo caso troviamo infatti il riferimento al cielo e alla terra, alle attività di Dio e a quelle dell’uomo.

Dal punto di vista retorico si tratta di una similitudine (comparatio) ed anche in questo caso è presente un’apòcope.

Il fatto che il Quadrato sia stato rinvenuto su un coccio richiama un antico rituale della cultura egizia, ricca di elementi esoterici, secondo il quale se si scriveva una formula magica su un vaso di terracotta e poi si rompeva il vaso, si sarebbe ottenuto l’effetto desiderato.

Il Dio Seminatore

L’autore del Quadrato può aver tratto la metafora del Dio Seminatore da un passo della Poetica di Aristotele:

Alcune delle parole che si trovano in rapporto di analogia tra loro non hanno un nome già precostituito, nonostante ciò si potrà fare ugualmente la metafora. Per esempio spargere il grano si dice seminare, mentre non ha nome spargere la sua fiamma da parte del sole; ma poiché la relazione rispetto al sole è la stessa di quella del seminare rispetto al grano, si potrà dire: seminando la fiamma creata dal dio.

seminans deo conditam flammam

Non è noto da quale autore Aristotele abbia tratto l’esempio, ma gli studiosi pensano potrebbe trattarsi di Anassagora di Clazomene.

La traduzione latina della frase esemplificativa greca mostra una profonda somiglianza col Quadrato. Si paragona l’azione terrena del seminare all’azione divina dello spargere il benefico calore del sole.

Anche in questo caso appare chiaro che l’autore del Quadrato conosceva molto bene la cultura greca, e soprattutto le opere retoriche di Aristotele.

In ambito latino il primo passo che ci parla di un Dio Seminatore è quello delle Tusculanae Disputationes, dove per la prima volta Cicerone parla del:

caelestum sator

Il “seminatore dei cieli” usato come perifrasi della divinità.

ROTAS

Le ROTAS in un ambito universale non potranno che essere le stelle che compiono immense rotazioni nel cielo notturno seguendo la curvatura del cielo, creando uno spettacolo che ha sempre ammaliato l’uomo fin dalla notte dei tempi.scansione0004

Ricordiamo la rota solis, il sole, e il Quadrato di Jarnac, dove gli occhielli delle lettere sono stati trasformati in tante stelle come in una raffigurazione del cielo.

Et mundi volubilitas, quae nisi in globosa forma esse non posset, et stellarum rutundi ambitus cognoscuntur, si comprende che l’universo è in rotazione, cosa che non sarebbe possibile se non fosse di forma sferica, e che le stelle si muovono con moto circolare. (Cic. De natura deorum  II 49)

Una seconda metafora per ROTAS può far riferimento alle ruote del destino.

Anacreonte già nel VI sec. a.C. scriveva:

La vita degli uomini rotola senza sosta come i dischi delle ruote dei carri.

L’allegoria che paragona le ruote dei carri ai destini umani è quindi molto antica.